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Storie di resistenza: quando i calciatori non erano playboy con macchinoni e compensi da capogiro

Avete mai notato la pietra d’inciampo in via San Donato? Questa è la sua storia.

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C’era un tempo, anche in Italia, dove i calciatori non avevano mogli modelle, villoni, macchinoni e compensi da capogiro.
Ed è forse l’unico calcio vero, di cui valga ancora la pena parlare.
Era il 1904 quando nacque Vittorio Staccione, in piena Torino. Figlio di una famiglia che diede al calcio anche un altro figlio, Eugenio. Negli almanacchi del tempo erano segnati come Staccione I, Vittorio, e Staccione II il fratello.

Una famiglia antifascista

Vittorio nacque in una famiglia operaia politicamente estremamente votata a sinistra e per questo profondamente antifascista. Era un centrocampista Vittorio e iniziò a giocare, naturalmente, nella squadra della sua città, il Torino. Giocò poi nella Fiorentina per chiudere la sua carriera a Cosenza e tornare a casa, a fare l’operaio FIAT, con tutte le lotte di classe annesse. Ve lo vedete Ronaldo fra due anni a fare l’operaio in FIAT?

Poi, arriva il fascismo e tutto cambiò

Nel frattempo però era arrivato anche il fascismo.
Vittorio era talmente contrario al fascismo che nemmeno i giornali sportivi osavano nominarlo, ma si riferivano a lui come “giocatore x”. Dagli archivi risulta che non poté partecipare all’inaugurazione dello stadio Filadelfia perché degli squadristi gli avevano rotto due costole.
Fu perseguitato dalla polizia fascista per tutto il tempo del regime, finché, il 12 marzo 1944 venne arrestato dalle SS.

Prigioniero politico

A Torino gli volevano talmente bene che persino il commissario cercò di salvarlo, dicendogli di andare pure a casa a farsi le valigie che in Germania avrebbe fatto freddo! Lui  andò a casa, fece le valigie e tornò al commissariato per affrontare il suo destino. Avrebbe potuto fuggire, magari unirsi alle lotte partigiane e invece venne deportato a Mauthausen.
Numero 59160, con un triangolo rosso sul braccio, da prigioniero politico. E lì incontrò per la stessa ragione Ferdinando Valletti, mediano del Milan e Carlo Castellani, attaccante dell’Empoli.
Quando la squadra di calcio delle SS rimaneva a corto di uomini, li chiamavano a giocare o almeno così ricordano i sopravvissuti. Anche il fratello Francesco venne deportato per le stesse idee comuniste.
Morirono a breve distanza, nel marzo del 1945, nulla rinnegando delle loro idee e delle loro convinzioni.

Una pientra di inciampo in onore di Vittorio

E se vi capitasse di passare da via San Donato, al numero 27, fate caso alla pietra d’inciampo, messa lì in onore di Vittorio.
Quest’anno ne sarà messa una anche in via Pianezza 3, a casa di Francesco.
Per non dimenticare, oggi più di ieri, quello che è stato e ciò che in ogni momento rischiamo di tornare ad essere.

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