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Scopriamo la Valle Grana e le sue leggende: LA LEGGENDA DELLA POLENTA BASTARDA

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LA LEGGENDA DELLA POLENTA BASTARDA DETTA ANCHE POLENTA DEL DIAVOLO
Si narra, si dice che tanto tempo fa in un grande cascinale che sorgeva nelle terre piane di Caraglio, in provincia di Cuneo, ai piedi delle alpi occitane, vivevano cinque famiglie di mezzadri.
Ognuna di essa conduceva una parte di quella fattoria ed erano molto solidali fra di loro. Si aiutavano nei lavori e nei casi di urgenza. Alla bisogna si prestavano le attrezzature e, alcune, le acquistavano in società.
Insomma regnava l’armonia e la cascina era prosperosa.
Le loro origini erano diverse, come d’altronde capitava spesso in quell’epoche lontane.
Una famiglia proveniva da Alessandria, una dal Veneto, una dall’Astigiano, una dal Torinese e una era del luogo.
Ogni anno il fattore, che curava gli interessi della cascina, accompagnava “el padron” (il proprietario) a constatare il buon andamento dei suoi interessi.
El padron viveva abitualmente a Torino ed era di lignaggio nobile, severo ma buono. Era un uomo sulla sessantina, dallo sguardo burbero e dalle grandi basette candide. Il suo fisico era rubicondo e questo lo rendeva alla fine simpatico.
Quell’anno il proprietario comunicò al fattore e ai suoi mezzadri che il prossimo Natale avrebbe fatto grande festa e avrebbe ospitato in quella grande cascina, personaggi illustri, altolocati e anche di ottima forchetta. Amanti soprattutto della buona polenta. Per cui raccomandava, con largo anticipo, che tutto fosse preparato nel migliore dei modi.
Iniziarono i nervosismi, non tanto per la logistica, per la cura dei campi, delle stalle, della casa ma, incredibilmente, per la preparazione della polenta.
Ogni famiglia si era portata, dalle sua terra, il mais che usava per preparare il tipico piatto e ognuna diceva che la sua era la più buona e che sarebbe sicuramente piaciuta di più.
Incominciarono le discussioni, i musi lunghi. L’orgoglio terragno sovrastava la ragione fino a che decisero che ogni famiglia si sarebbe coltivata, come sempre, il suo mais e avrebbe offerto, separatamente, la sua polenta ai futuri invitati.
Prepararono cinque appezzamenti vicini, tutti coltivati a mais da polenta ma ognuno di varietà diversa:
Uno era coltivato a Marano un mais alessandrino, uno a Nostrale dell’isola di origine torinese, uno a Ottofile che proveniva dall’astigiano, uno a Pignolet del posto e uno a Bianco Perla, mais bianco del Veneto.
Il diavolo osservava maligno e divertito, da sopra un noce, la piccolezza umana e per divertirsi ancora di più, una notte, quando il mais era bello fiorito, cominciò a soffiare così tanto da creare un vento impetuoso che investi i 5 appezzamenti.
L’intenzione era quella di mischiare i pollini dei fiori in modo che le varietà si incrociassero e si imbastardissero creando del mais impuro che fosse improponibile e che portasse panico in quella fattoria.
Nessuno dei cinque mezzadri si accorse del vento perché questo si abbatté, incredibilmente, solo su quei 5 pezzi coltivati. Da altre parti no.
Venne il giorno della raccolta e della successiva spannocchiatura. Successe il finimondo. Il mais aveva forme strane, di colori diversi. Un miscuglio eterogeneo che mandò nello sconforto le cinque famiglie.
Ma ormai era tardi. Appesero quel mais ad asciugare. Poi lo sgranarono e lo macinarono tutto insieme. Se non altro quel disastro aveva riavvicinato le famiglie e facendosi coraggio decisero di affrontare comunque l’evento.
Arrivò il Natale, non senza trepidazione e abbastanza sagrinati (preoccupati),preparano la polenta con quella farina.
Il risultato fu straordinario. I commensali furono basiti La polenta piacque a tutti indistintamente tanto che, godutamente, ne fu richiesto a gran voce il bis per il giorno dopo.
E’ proprio vero che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi ed è ancor più vero che non è sempre la razza a far la bontà.
Lucio Alciati

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