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Salute

Piemonte, ecco come l’Unità di Crisi ha evitato morti e malati

Alcune decisioni prese hanno risparmiato alla Regione Piemonte morti e malati. «Ogni giornata era come essere dentro un frullatore» ma il combattimento unisce le persone in maniera indissolubile. Il racconto del medico Roberto Testi

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Fase 2 Coronavirus

TORINO – «Sono convinto che, se tutto si poteva fare meglio guardandolo dopo, alcune decisioni che allora sono state davvero pesanti da prendere hanno risparmiato alla nostra Regione morti e malati. Mi auguro che la storia lo dimostrerà. Quello di cui sono certo è che abbiamo avuto il coraggio e la forza per fare qualcosa quando ci è stato chiesto, e lo abbiamo fatto insieme!». Così, su Facebook, il medico Roberto Testi, racconta la sua esperienza all’Unità di crisi anti Coronavirus, dove è coordinatore scientifico. «Alla fine – scrive – posso solo dire grazie a tutti i compagni di questi 100 giorni di avventura. E’ stato per me un onore e sono certo che ce lo terremo per sempre nel cuore».

Ogni giornata dentro un frullatore

«Dal 22 febbraio – racconta – abbiamo condiviso ogni giornata dentro un frullatore che pareva non rallentare mai, di fronte ad una cosa che nessuno si aspettava, che nessuno sapeva come sarebbe evoluta e con pochi mezzi per combatterla e, soprattutto, con la necessità di prendere decisioni non basate su una esperienza che nessuno aveva, ma sul buon senso e la fortuna». «Nell’emergenza – prosegue Testi – a volte pensiamo di fare la cosa giusta. Non abbiamo sempre la certezza di quale essa sia, ma si deve decidere. Solo a posteriori si potrà dire se una decisione è stata corretta, e questo neanche accade sempre. Ma per poterlo constatare dovremmo potere percorrere entrambe le scelte: sappiamo bene che non è possibile e comunque si deve scegliere, e spesso in un istante. Allora non rimane che affidarsi all’istinto e all’esperienza».

L’unione in combattimento

Parlando dei «compagni di questi cento giorni» il medico ricorda tutti, dai colleghi in camice bianco ai volontari dell’Associazione carabinieri, compresi i vertici della Regione, «quelli che chiamavamo ‘i politici’ ma che in breve tempo sono diventati Alberto, Luigi, Fabio, Marco e Matteo, che hanno sofferto e trepidato davanti agli schermi quando i numeri sembravano crescere in modo inarrestabile e che hanno cercato in tutti i modi di farci avere quei mezzi e quegli strumenti che non avevamo». «Quando si combatte – osserva ancora Testi – chi condivide con te ansia, paura e speranze rimane legato da un vincolo diverso e più profondo da quelli che usualmente ci unisce ai colleghi: è qualcosa che ha provato chi è stato militare e rimane tale per tutta la vita».

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