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Pacchi bomba a Torino: arrestati 3 anarchici

Secondo il pm si tratta della stessa rete di minacce che ha colpito la Sindaca Appendino. Si tratta di pacchi che «potevano uccidere»

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TORINO – Sono stati arrestati questa mattina i tre militanti anarco insurrezionalisti accusati di aver inviato tre pacchi bomba a due magistrati della procura di Torino e all’ex direttore del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria di Roma. In manette sono finiti Giuseppe Bruna, 49 anni, originario di Agrigento ma trapiantato a Ferrara, Robert Firespoor, iraniano di 23 anni che lavorava come infermiere in una struttura sanitaria del Modenese e attivista del laboratorio libertario Ligera di Modena, e Natascia Savio, 35enne torinese, arrestata in Francia, poco lontano da Bordeaux, dove stava lavorando come stagionale nel settore viticolo.

Ordigni con attivazione a strappo

Secondo quanto ricostruito dalle indagini condotte dal pm di Milano, Piero Basilone, e coordinate dal pm Alberto Nobili, sarebbero stati loro a inviare i pacchi bomba recapitati il 7 giugno 2017 ai pm di Torino Roberto Sparagna e Antonio Ribaudo e, il 12 giugno successivo, Consolo Santi, all’epoca direttore del Dap di Roma. Tutti ordigni con un meccanismo di attivazione a strappo che avrebbero potenzialmente potuto uccidere i destinatari. Sono stati i carabinieri dei Ros a eseguire le ordinanze di custodia cautelare disposte dal gip del Tribunale di Milano.

Secondo quanto emerso, i tre si erano incontrati a Genova il 27 maggio 2017 per pianificare il loro progetto eversivo. E’ nel capoluogo ligure, dove Bruna abitava prima di trasferirsi a Ferrara per svolgere attività di assistenza presso una struttura per anziani, che i tre hanno acquistato i componenti per il confezionamento degli ordigni. A incastrare Bruna e Savio sono state le immagini delle telecamere di videosorveglianza della chiesa di San Luca, che li ha immortalati mentre acquistavano in un negozio gestito da cittadini cinesi, le buste multiball dove poi vennero nascosti gli ordigni. Nello stesso orario, in un adiacente internet point di Genova, fu effettuata una ricerca on line degli indirizzi dei destinatari dei tre pacchi bomba. La stessa ricerca venne effettuata sul sito dell’ordine degli avvocati, da cui vennero scaricati mittenti fittizi. Poco dopo altre telecamere hanno ripreso i tre presunti colpevoli mentre passeggiavano lungo le vie del capoluogo ligure camminando distanti. E’ stato anche accertato come i tre anarco insurrezionalisti, negli orario a cavallo dell’acquisto dei componenti esplosivi e delle ricerche sul web, avessero spento i cellulari, con un modus operandi tipico anche di altre attentanti di matrice anarchica.

«Per un giugno pericoloso»

Il triplice attentato esplosivo si collocava, per tempi e modalità di esecuzione, all’interno della campagna d’azione lanciata dal documento istigatorio «per un giugno pericoloso», messo a punto a Roma nell’aprile 2017 per sviluppare una nuova prospettiva della lotta anarchica più violenta contro la repressione. La stessa campagna di giugno aveva portato a numerosi attentati compiuto tanto in Italia quanto all’estero. Particolarmente significativi gli obiettivi scelti dal gruppo: il pm Sparagna, rappresentante della pubblica accusa nel processo «Scripta Manent« che portò a numerose condanne nei confronti di esponenti della Fai/Fri, il suo collega Antonio Rinaudo, che ha condotti processi storici contro gli anarchici (la stessa Savio, nel 2016, era stata destinataria di un provvedimento di obbligo di dimora scaturito proprio dalle sue indagini) e, infine, l’allora direttore del Dap. Tutti obiettivi considerati simboli della repressione carceraria e responsabili dei problemi carcerari subiti da Maurizio Alfieri, un criminale comune che, dopo esse si politicizzato in carcere, fu trasferito dalla casa di reclusione di Milano Opera a quella di Napoli Poggioreale. Le indagini, poi, hanno accertato come proprio Firozpoor fosse tra i promotori della campagna contro il Dap e a sostegno di Alfieri, con cui intratteneva numerosi contatti epistolari e ideologici e a cui forniva anche sostegno economico. Dalle indagini è anche emerso uno stretto collegamento tra l’iraniano e l’anarchico di origine nigeriana Divine Umoru, arrestato nell’agosto 2016 a Bologna per possesso di materiale esplosivo e documentazione propedeutica al compimento di attentati. Un arresto di particolare rilievo proprio perchè considerato uno dei moventi dell’attentato esplosivo compiuto alla Stazione dei carabineiri di Bologna Corticella del 27 novembre 2016. Fu il primo attentato di rilievo dopo l’operazione Scripta Manent. Tra le altre conversazioni intercettate in fase di indagine, spicca quella di Natascia Savio che, da Madrid, si lamentava dell’inerzia del movimento spagnolo, affermando al contrario di voler «mettere le bombe».

Stessa rete di minacce ad Appendino

I tre anarco-insurrezionalisti arrestati con l’accusa di aver inviato dei pacchi bomba a due magistrati della Procura di Torino e all’ex direttore del Dap fanno «verosimilmente parte dello stesso tipo di rete» responsabile delle lettere con minacce di morte spedite alla sindaca di Torino Chiara Appendino. La precisazione è arrivata dal pm Alberto Nobili, il magistrato della procura di Milano che coordina le indagini sull’antiterrorismo, durante la conferenza stampa convocata dal procuratore Francesco Greco per illustrare i dettagli dell’operazione “Prometeo” condotta dai carabinieri del Ros. «Il sindaco di Torino – sono state le parole del magistrato – continua a ricevere minacce verosimilmente dallo stesso tipo di rete».

Bombe che potevano uccidere

I tre plichi esplosivi furono recapitati nel giugno 2017 ai pm torinesi Roberto Sparagna e Antonio Ribaudo, titolari di importanti indagini sul fenomeno anarco-insurrezionalista, e a Consolo Santi, allora direttore del Dap di Roma, fortunatamente senza provocare feriti. “Erano bombe che potevano uccidere”, ha messo in chiaro il pm Piero Basilone, che durante le indagini ha disposto una consulenza tecnica per accertare il potenziale offensivo dei tre plichi esplosivi. «La forza d’urto provocata dall’esplosione – ha spiegato il magistrato – avrebbe scaraventato in aria oggetti con potenzialità di morte per destinatario». Di “modalità vigliacca” ha invece parlato il procuratore capo Francesco Greco che ha osservato: «Spesso, in attentati di questo tipo, a rimanere feriti non sono i destinatari del pacco bomba ma gli addetti alla ricezione della posta».

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